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Teletrasporto e Identità: La Persona Ricreata è la Stessa o Solo una Copia?. Scenari e Paradossi del Teletrasporto: Identità, Originalità e Duplicazione
La tecnologia del teletrasporto, resa famosa dalla fantascienza, porta con sé interrogativi profondi e complessi riguardo all'identità e all’essenza dell’individuo
La tecnologia del teletrasporto, resa famosa dalla fantascienza, porta con sé interrogativi profondi e complessi riguardo all’identità e all’essenza dell’individuo. Una delle questioni più dibattute è se la persona “teletrasportata” sia effettivamente la stessa o solo una copia dell’originale. Immaginiamo un teletrasporto che funzioni scansionando ogni molecola del corpo, distruggendo l’originale…
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« Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione mondiale sta diminuendo nell’ultimo ventennio.
Una delle cause è l'impoverimento del linguaggio.
Diversi studi dimostrano infatti la correlazione tra la diminuzione della conoscenza lessicale (e l'impoverimento della lingua) e la capacità di elaborare e formulare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero.
Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall'incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole.
Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare.
La storia è ricca di esempi e molti libri (1984, di George Orwell; Fahrenheit 451, di Ray Bradbury) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari abbiano sempre ostacolato il pensiero attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole.
Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c'è pensiero senza parole.
Coloro che affermano la necessità di semplificare l'ortografia, sfrondare la lingua dei suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana. »
Christophe Clavé
Tratto da pagina fb Filosofia e storia della filosofia
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Non credo che il liceo apra la mente (ci credeva e lo insegnava mia madre) perché non vedo né argomenti né evidenze empiriche a supporto di questa congettura. Anzi ne vedo di opposti: non c'è al liceo classico né nel metodo né nelle materie alcuna attività che induca al pensiero critico o al dubbio.
Non si insegna filosofia, si impara a memoria la storia della filosofia. Non critica letteraria, ma si impara il prodotto dei critici di regime del greco e latino, lingua in cui capolavori eterni sono stati scritti, si manda a memoria la grammatica (costruzione ex post di burocrati) e si impara a memoria la storia della letteratura e talvolta le traduzioni.
Dopo 5 anni (ai miei tempi) eri in grado di tradurre 10 righe usando un vocabolario enorme (io avevo il castiglioni mariotti). Oggi dopo qualche mese di Duolingo parli e capisci in modo dignitoso il cinese studiando mezz'ora al giorno (...).
Conosco menti aperte che non hanno fatto il classico e credo che svariati licei abbiano chiuso le menti di generazioni inculcando una idea immotivata di superiorità culturale e suggerendo che la retorica sia superiore alla logica e al metodo scientifico.
Ci sono sicuramente professori fantastici (...) ma io li vedo come missionari inviati a predicare il nulla nel deserto. Individui eccezionali da cui non si può inferire merito nell'istituzione liceo classico.
via https://x.com/MassimoFamularo/status/1862526161047191832
Aggiungo a riprova definitiva che l'Avvocato del Popolo Gonde Giuseppi ha fatto il classico.
Aggiungo anche che questo j'accuse definitivo al metodo dogmatico prescientifico, prodotto del neo-idealismo provincial hegeliano del Gentile, vale anche per il suo figlio di un dio minore, il liceo scientifico: sperare che lì insegnino la logica e il metodo scientifico (!) al posto della retorica da spicciacarte tamarro, che risate: lì si applica la memoria alle formule invece che alle date.
E' l'idealismo, bellezza: la Verità si Contempla, non si ricerca e in ogni caso non tu, non puoi.
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L'incoerenza di genere sfida la filosofia interpersonale
Post ad alto contenuto di imbarazzanti ovvietà da boomer e strafalcioni dettati da ignoranza becera dell'argomento riguardo i quali sono contento di discutere per saperne di più e per migliorarmi. Ne scrivo proprio per avere una discussione proficua. Abbiate pietà, sono nato e cresciuto negli anni ottanta del secolo scorso.
Seguitemi un attimo. Io sono Firewalker, ho una certa altezza, un certo peso, una certa capigliatura. Se cambio capigliatura, se ingrasso o dimagrisco, sono sempre Firewalker.
Ho avuto un incidente anni fa e ho cambiato il legamento crociato anteriore sinistro. Nonostante quel cambio, sono sempre io. Se perdo l'intera gamba continuo a essere io. Se perdo tutti gli arti sono comunque io. Se mi cambiano il cuore sono sempre io.
La leggenda vuole che ogni sette anni cambiamo tutte le cellule del nostro corpo (che poi dubito sia vera questa cosa, soprattutto per alcuni tipi di cellule, ma facciamo finta che). Comunque a 14 anni siamo sempre la stessa persona di quando avevamo 7 anni, giusto?
C'è una vecchia storiella che racconta che nel corso della manutenzione a una barca, questa piano piano vede sostituito tutto il suo legno con del legno nuovo.
E allora, quanti pezzi di me devo cambiare, quanto legno della barca devo sostituire, per fare sì che quella persona non sia più io, che quella barca non sia più la stessa barca?
Non so per le barche, ma la mia idea è che io risiedo nel mio cervello. Il mio cervello (la mia mente... la separazione tra cervello e mente è un altro paio di maniche. Per me sono la stessa cosa, facciamo finta che sia così per tutti per semplicità di discussione) decide come mi muovo, cosa faccio, come reagisco, decide il mio carattere, decide i miei interessi, decide le mie passioni, i miei amori, le mie antipatie. Io sono il mio cervello.
Probabilmente, se guardiamo la questione in maniera egoriferita, è lapalissiano, ed è per tutti così. Il problema è quando guardiamo gli altri. Se io conosco Marco, lo conosco con la sua altezza, col suo peso, con la sua capigliatura, oltre che con i suoi modi di fare e con i suoi interessi. Lo riconosco per il suo aspetto, e magari ho piacere a stare con lui per il suo cervello, ma non è quello che mi indica la sua identità, non è quello che me lo fa riconoscere. Per me Marco è un corpo esterno da me, per Marco lui è il suo cervello.
Ecco il punto del discorso.
Ci vuole un salto qualitativo da parte mia per riconoscere che Marco non è il suo braccio o il suo collo messi insieme a tutto il resto. Marco è il suo cervello. Questo salto qualitativo non è fatto da tutti, forse perché non ci pensano, forse perché non sono d'accordo con la mia affermazione "è così per tutti", ci hanno ragionato sopra e per loro ha importanza anche la corporeità. Forse è un problema culturale (inteso proprio come conoscenze delle varie sfaccettature di questo argomento).
Il fatto è che se Marco ha una incoerenza di genere e il suo cervello gli dice di essere Angela, ecco che potrebbe non accettare più le parti del corpo che ha, perché vive la sua realtà, il suo cervello, non è allineato. Qui si sfocia nella disforia di genere, che è un malessere generato da questa incoerenza di genere.
In qualunque modo la viva Angela, il fatto è che non vive da sola. È circondata da persone che gli dicono che si chiama Marco, che ha il corpo di Marco, e che magari non accetta il fatto che sia Angela a "pilotare" il corpo che vedono.
Gli altri devono far caso al fatto che Angela non è il suo corpo, ma il suo cervello. Devono improntare il rapporto con gli altri ad un livello superiore per poter notare questa cosa e, come detto, non tutti lo fanno. Anzi, per molti non è pensabile che Angela esista, esiste solo Marco, che è quello che loro vedono. E se Marco dice di essere Angela, allora ha un problema mentale (per alcuni è il demonio, per altri è una moda...), perché non è possibile che non si accorga di essere Marco, deve fare finta per forza.
Senza contare poi che, magari, la situazione è anche più complicata. Me li immagino pensare "sei Marco, cosa significa che non ti senti ne maschio né femmina?"
Non ho ancora trovato il modo migliore per rapportarmi con queste persone (quelle che non riconoscono Angela), so solo che la divulgazione è spesso osteggiata o marginalizzata in settori di nicchia, perché per capire certe cose (anche solo vagamente, come penso e spero di fare io) bisogna sbatterci la testa contro più e più volte, e non tutti c'hanno voglia di faticare su questo.
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Paralogismo
pa-ra-lo-gì-smo
SIGNIFICATO Ragionamento che appare coerente ma è fallace, viziato non intenzionalmente nel procedimento logico
ETIMOLOGIA dal greco paralogismós ‘ragionamento falso’, da logismós ‘ragionamento’, col prefisso para- nel senso di deviazione.
Per la serie ‘tutto ciò che importa ha un nome’, oggi vediamo un termine particolarmente rilevante e raffinato, che fotografa uno speciale vizio del pensiero.
Quando ci imbattiamo in un ragionamento che fa acqua, per descriverlo ci possono venire in mente molte parole — di cui tante irripetibili. Bontà nostra, non ci fermiamo a domandarci come l’avrebbe chiamato Aristotele. Il quale invece saprebbe darci degli spunti interessanti per portare un po’ di discernimento nella galassia generica della fesseria: in effetti i significati correnti del paralogismo sono proprio di ispirazione aristotelica, anche se in filosofia ricorre volentieri e con sfumature diverse.
Il paralogismo è etimologicamente un ragionamento sviato, falso — che da un punto di vista della conseguenza logica è fallace. All’apparenza è un ragionamento coerente, magari perfino di buon senso, ma una premessa errata, un’implicazione abusiva inconsapevole, un’ambiguità linguistica lo minano
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Non mettere le mani in tasca
Gli studi universitari mi hanno portata lontana da questo blog, ma dopo i recenti avvenimenti non posso restare zitta. Lo scrittore Antonio Scurati sarebbe stato ospite della trasmissione di Serena Bortone, CheSarà, e avrebbe letto un monologo sul 25 Aprile e sul delitto Matteotti. Il tutto è stato bloccato all'ultimo dal nostro Governo, giustificandosi prima con una motivazione di natura economica e in seguito con un per "questioni editoriali". La Bortone ha di conseguenza deciso di leggere il suddetto discorso in diretta, procurandosi una diffida e la chiusura del programma.
Dopo aver appreso la vicenda, sarà perché ormai sono sommersa dallo studio o per una semplice associazione mentale, mi vengono in mente le parole di un filosofo austriaco, Karl Popper, sulla questione della democrazia e della libertà di parola.
Non voglio farvi una lezione di filosofia politica in questo post, vi basti solo sapere che secondo Popper esistono due tipi di società, una aperta e una chiusa. La società chiusa è governata da dogmi indiscutibili che portano alla piena sottomissione gli individui, mentre la società aperta ammette l'esistenza del dialogo e della libera discussione critica. Nella società aperta la libertà di pensiero è un valore radicale, perché senza di essa la nostra democrazia non potrebbe essere in grado di evolversi ed adattarsi alle nostre esigenze. E allora io mi chiedo, non siamo forse una società aperta? o forse lo eravamo, o forse ci siamo illusi di esserlo. Ora più che mai ho l'impressione che non possiamo considerarci tale.
Presidente, io comprendo quanto per Lei sia necessario il consenso delle masse, quanto possa essere potente l'uso dei mass media per poterlo ottenere. Non è la prima che utilizzerà questo mezzo per i suoi scopi e sono certa che non sarà l'ultima. Ma le voglio solo dire questo: la censura non è mai la risposta. Ciò che ha commesso è un fatto gravissimo che conferma il suo valore come personaggio politico e soprattutto il suo valore umano.
Mi rifiuto categoricamente di sentirmi rappresentata da Lei.
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Sono stata in farmacia pochi giorni fa e c'era una mamma molto preoccupata per la figlia che, vicina alla maturità, all'improvviso lamenta stanchezza, mal di stomaco e scarso appetito. "Lei che l'ha sempre presa con filosofia..." Ovviamente non sono medico e non so altro sulla ragazza, comunque questo momento mi ha fatto riflettere. Vorrei nel mio piccolo, car* maturand*, dirvi una cosa.
La maturità fa paura e mette tanta ansia per tantissimi motivi, lo so. Ma so anche che avete fatto del vostro meglio per 5 anni (in qualsiasi modo si sia visto nei voti) e questo non viene mai buttato. Fidatevi di voi stess*. Non abbiate paura di fallire (anche perché non fallireste nemmeno se non riusciste a passare), buttatevi a capofitto. È proprio ora che va preso tutto con filosofia, "vada come vada (andrà bene)", senza lasciare che ansia e paura prendano il sopravvento e vi blocchino, o blocchino la vostra memoria e conoscenza, e non vi lascino esprimere al meglio. La vostra mente ha bisogno di voi, della vostra sicurezza e di stare il più possibile (ovviamente, nei limiti che nascono da questo contesto) tranquilla. E il vostro corpo ha bisogno di carburante adatto per sopportare caldo e stress. Prendetevi cura di voi, prendetevi dei momenti solo per voi, per staccare dalla scuola e dallo studio: sono fondamentali soprattutto ora (riuscirete a ripassare tutto e sarà abbastanza, non preoccupatevi: ancora una volta, fidatevi di voi e delle vostre capacità). Un enorme in bocca al lupo a tutt*, maturandi e maturande. È un grande passo per tutt* voi, e sarà anche un bel passo.
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Sono andata a scuola con Pamela Mastropietro, la ragazza romana uccisa e smembrata nel 2018.
Mentre scrivo cerco di rendere quello che sento e che ho sentito all’epoca il meno autoreferenziale possibile, eppure mi accorgo che non riesco, ché mi viene da scriverne perché poco fa ho visto un video con la sua faccia dove veniva ripercorsa la vicenda, apprendendo ulteriori scenari, e non riesco perché ogni volta che mi torna in mente lei mi ricordo la sensazione corporea quando ho appreso della sua morta, scorrendo il cellulare, ed ho capito che una ragazza che vedevo fino a dieci giorni prima in classe era stata fatta a pezzi e messa in una valigia. Lo so, è ancora autoreferenziale, ed è il motivo per cui non parlo di questa storia mai - non è la mia, non ne ho il diritto -, anche se mi lacera ancora oggi, ed è forse il motivo per cui non ho mai toccato droghe pesanti in quel periodo orribile.
Io vorrei descrivere Pamela, darne un ritratto fedele, autentico, descrivere il suo accento romano, la sua camminata, il suo atteggiamento duro e spaccone - tranne quando si rivolgeva a me, ché ero fragile all’epoca e forse lei lo aveva capito. Vorrei parlare del rapporto che aveva con la mia professoressa di filosofia, di quanto fosse in gamba, di come parlasse bene, ma non riesco, perché io non sono stata niente per lei, io ero solo una spettatrice, e non posso neanche avere il diritto di sentirmi così dilaniata.
Succede che poco fa apprendo che, prima della sua morte, ben due autisti di taxi hanno consumato un rapporto con lei in cambio di un passaggio per Roma - era appena scappata da una comunità per tossicodipendenti. Solo successivamente ha incontrato lo spacciatore che poi l’ha uccisa, dopo avere abusato di lei. Quando leggo questo io non riesco più neanche a parlare di Pamela, non riesco a dare un ritratto non autoreferenziale della mia angoscia perché mi sale la rabbia cieca e frustrata e senza speranza nel pensare che in quei due giorni ogni figura maschile e adulta incontrata non le abbia teso una mano, non abbia chiamato le autorità, non abbia infierito su quel corpo e quella psiche a pezzi. Aveva 17 anni.
Come si può tollerare una violenza sistemica così atroce? Come si possono tollerare la negligenza e la noncuranza verso una vita così indifesa e fragile? Come non può estendersi, questo fatto, a macchia d’olio, e non farmi salire una rabbia atroce e disperata nei confronti della violenza, della violenza sui deboli - della violenza sulle donne, sempre loro.
Io non lo so come si fa a non mettere la propria sofferenza in mezzo, scusa Pame’, ma ogni tanto m’incazzo; avrei tanto voluto che qualcuno ci fosse stato per te.
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Nessuna AI è stata maltrattata per scrivere questo testo. Il racconto di Kalistos e la Follia della Verità
C’è un tempo in cui gli uomini credono di possedere la verità, ma è solo allora che la verità li possiede.
Prologo: L’ascesa di Kalistos
C'era una volta, nell'antica Ellade, un uomo di nome Kalistos, il cui nome significava "il più bello e il migliore". Figlio di Cléon, un umile artigiano di anfore, Kalistos crebbe con l'ossessione di superare le sue origini modeste. Da giovane si allenò duramente nelle palestre di Atene, imparando l'arte della retorica dai sofisti e affinando la sua mente con le opere dei grandi filosofi. Il suo cuore era divorato da un unico desiderio: essere riconosciuto come il più saggio e il più giusto tra gli uomini.
Il giorno in cui il re di Eleusi indisse un concorso di sapienza per scegliere il prossimo consigliere di corte, Kalistos si presentò con l'arroganza di chi già conosce l'esito. Nella piazza gremita, sbaragliò ogni rivale con la forza della sua logica, il suo arguto parlare e la sua capacità di umiliare gli avversari con domande capziose. Alla fine, il re disse:
— "Kalistos, hai dimostrato una mente più affilata di un rasoio di bronzo. D’ora in poi sarai il mio consigliere e siederai al mio fianco come la voce della ragione."
Da quel giorno, Kalistos si convinse di essere l’uomo più saggio della terra.
Capitolo I: La tentazione della Verità
Con il passare degli anni, Kalistos divenne celebre in tutta la Grecia. Ogni città lo chiamava per risolvere dispute e sciogliere enigmi. Con la fama, però, crebbe anche il suo orgoglio. Kalistos non si limitava a giudicare le questioni, ma si ergeva a portatore di verità assoluta.
Un giorno, mentre camminava per le vie di Delfi, decise di visitare il tempio di Apollo. Entrato nel santuario, vide la Pizia, la sacerdotessa dell’oracolo, seduta sul tripode, circondata da vapori sacri. Kalistos si avvicinò e, con tono sprezzante, chiese:
— "Pizia, se tu sei così saggia, dimmi: qual è la verità più alta che un uomo possa conoscere?"
La sacerdotessa rise, una risata antica e profonda. Poi rispose con voce fumosa:
— "La verità più alta è quella che muta, come il fumo che vedi intorno a me. Chi crede di possederla, ne è solo prigioniero."
Kalistos non diede peso alle sue parole. Anzi, rise di lei e uscì dal tempio convinto che quella vecchia pazza non sapeva di cosa parlava.
Capitolo II: Gli incontri sul sentiero
Kalistos si mise in viaggio per tornare a Eleusi. Sulla strada, incontrò tre figure che avrebbero cambiato il suo destino.
1. Il Vecchio Pastore
Kalistos trovò un vecchio pastore seduto su una pietra, intento a intrecciare una corda di giunco. L’uomo, con il volto segnato da rughe profonde, osservava il cielo con occhi socchiusi.
— "Cosa osservi, vecchio?" chiese Kalistos.
— "Guardo il volo degli uccelli", rispose il pastore.
— "Sciocco! Gli uccelli non rivelano nulla. Io ho studiato la logica e la filosofia, non c’è nulla negli uccelli che possa insegnare agli uomini."
Il pastore scosse il capo e disse:
— "Forse non hai mai visto un uccello cercare il nido. Anche lui pensa di conoscere la via, ma spesso sbaglia ramo e si ritrova perso."
Kalistos rise, e con tono altezzoso, replicò:
— "Io non sono un uccello. Io non sbaglio mai strada."
2. La Donna Silente
Più avanti, Kalistos trovò una donna seduta sul ciglio della strada. Aveva uno sguardo immobile e profondo, come se vedesse il mondo senza aver bisogno degli occhi.
— "Donna, perché non parli? Sei forse muta?" disse Kalistos.
Lei lo fissò, senza dire nulla.
— "Credi che il silenzio sia saggezza? Io ti dico che la vera saggezza è nella parola chiara e definita!"
La donna si alzò e si avvicinò lentamente, poi posò una mano sul petto di Kalistos e sussurrò:
— "Le parole sono catene quando credi di avere ragione su tutto."
Il cuore di Kalistos fu scosso per un attimo, ma il pensiero gli scivolò via come acqua su pietra.
3. Il Ragazzo Sognatore
Infine, Kalistos incontrò un giovane intento a scolpire una statua di argilla.
— "Ragazzo, chi stai raffigurando?" chiese.
— "Il mio sogno", rispose il ragazzo, "ma ogni volta che finisco la scultura, la distruggo e la ricomincio."
— "Stolto!" esclamò Kalistos. "Il sogno va reso eterno. Non devi rifarlo, devi portarlo a compimento!"
Il ragazzo lo fissò con uno sguardo carico di stupore e disse:
— "Se il sogno non muta, muore."
Questa volta, Kalistos sentì qualcosa rompersi dentro di lui, ma non capì cosa fosse.
Capitolo III: La Rivelazione della Donna del Vento
Quando Kalistos tornò a Eleusi, il re lo convocò.
— "Kalistos, una donna misteriosa è giunta a corte. Porta con sé un vento che muta ogni cosa. Ho bisogno di te per giudicarla."
Quando Kalistos entrò nella sala del trono, trovò la donna del vento. Era la stessa donna silente che aveva incontrato lungo il cammino. I suoi occhi ora erano fiamme azzurre.
— "Kalistos", disse la donna, "tu hai camminato su questa terra come se la verità ti appartenesse. Ma io ti dico che la verità è vento e non pietra."
Con un soffio, la donna agitò l'aria. Improvvisamente, tutte le colonne della sala iniziarono a oscillare. Kalistos vide le pareti muoversi e sentì il pavimento traballare.
— "Cosa fai, strega? Vuoi distruggere la casa del re?"
— "Non distruggo, Kalistos. Ti mostro ciò che è sempre stato. Nulla è fermo. Nulla è definitivo."
Kalistos sentì il suolo crollare sotto i suoi piedi e, per la prima volta, provò paura. Cadde in ginocchio.
— "Chi sei, o dea?" chiese tremante.
— "Io sono Ananke, la Necessità. Sono colei che spezza le certezze. Non esiste verità che non cambi. Ricorda: chi si crede giusto sarà umiliato. Chi si crede saggio sarà confuso. Torna a essere il Kalistos che voleva imparare, non il Kalistos che crede di sapere tutto."
Il vento cessò. Le pareti si fermarono. Tutto tornò normale, tranne Kalistos.
Epilogo: La Discesa
Kalistos tornò al tempio di Apollo e si inginocchiò davanti alla Pizia.
— "Ora so che non so", disse.
La Pizia rise.
— "Bentornato, uomo. Hai incontrato Ananke. Lei viene solo quando la superbia è così alta da toccare il cielo."
Da quel giorno, Kalistos non fu più giudice, ma maestro di domande. Non disse mai più "so", ma sempre "forse".
E così visse il resto della sua vita, in bilico tra la certezza e il dubbio, come l’uccello che cerca il ramo giusto per il suo nido.
Chi crede di conoscere la verità assoluta è il primo a perdersi nel labirinto delle sue certezze.
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L’Universo tra tecnologia, umanità, creatività e introspezione: un viaggio tra mondi connessi. Recensione di Alessandria today
Quattro immagini, quattro dimensioni: esplorare l'interconnessione tra spazio, mente, arte e relazioni
Quattro immagini, quattro dimensioni: esplorare l’interconnessione tra spazio, mente, arte e relazioni L’unione simbolica delle quattro immagini caricate rappresenta un mosaico di idee e sensazioni, che mescolano la vastità cosmica, il progresso tecnologico, la forza delle relazioni umane e l’intimità creativa. Ogni immagine racconta una storia, ma insieme suggeriscono un percorso più ampio:…
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
REALISMO ASTRATTO
La tendenza diffusa a proporre, nell'espressione pittorica, due orientamenti contrapposti, il realismo e l'astrattismo, trasforma lo schema in significato tracciando un'inesistente linea di confine tra un moto d'animo e uno sguardo sensibile. Bastano le tele di Hopper a rendere l'incongruità della deriva concettuale, una semplificazione che non apporta nulla, che banalizza, che riduce la potenza dell'immagine. Nessuna rappresentazione è mai sciolta dall'espressione. Così come nessuna espressione può privarsi del filo ancestrale che la lega alla rappresentazione. Ogni atto pittorico è reale ed astratto: è immaginazione, configurazione dell'istante di una mente, irripetibile, generato da un crogiolo inestricabile di pensieri. Il risultato è originale, unico. Così, Hopper conduce l'osservatore in un mondo irreale di contemplazione lenta nel quale a dominare è il racconto di intimità profonde, che travalicano i corpi per mostrare la nudità del pensare, l'atteggiamento forse più eversivo e scandaloso del nostro tempo. L'immagine apparentemente reale solo perchè possibile nelle forme, è invece pura astrazione poichè tenta di presentare l'inconoscibile solitudine del meditare e delle sue leggi oscure.
Edward Hopper (1882 - 1967)
1 - Escursione nella filosofia - 1959
2 - 11 a.m. - 1926
3 - Morning sun - 1923
4 - A woman in the sun - 1961
5 - Summer in the city - 1950
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Aristotele
Riassumere il pensiero di Aristotele è un'impresa titanica, pare proprio che si occupò di tutto, una vera mente enciclopedica, si concesse anche il lusso di far da precettore ad Alessandro Magno e di guidare con la sua impostazione scientifica tutta la filosofia occidentale fino all'arrivo di Copernico e di Galileo, che nell'ottica delle ere geologiche è praticamente l'altro ieri. Noi qui per brevità ci occuperemo solo dell'ontologia e della metafisica.
Già allievo dell'accademia platonica, Aristotele si allontanò progressivamente dalle posizioni del maestro e criticando da un punto di vista strettamente logico la teoria delle idee si mise a cercare le cause delle cose negli enti stessi invece che nell'Iperuranio.
Cercando le cause delle cose arrivò a sviluppare un argomento che secoli più tardi verrà ripreso da San Tommaso per provare l'esistenza di Dio. Dice Aristotele che se ogni ente ha alle sue spalle una causa che l'ha prodotto, allora ripercorrendo a ritroso tutta la catena di cause si dovrà per forza di cose arrivare a una causa senza causa, cioè a una causa incausata, o motore immobile, da cui prende il moto tutta la successiva concatenazione delle cause. Questo fulcro fermissimo è l'Essere immutabile ed eterno che sorregge il passaggio delle cose sensibili dal non-essere più al non-essere ancora.
Abbiamo dunque due tipi di essere, come in Platone: l'Essere immutabile che è principio metafisico del mondo fisico, e l'essere degli enti sensibili che oscilla concretamente fra l'essere e il nulla.
Aristotele non era un sostenitore dell'atomismo, aveva un grosso problema a giustificare l'esistenza del vuoto. Per lui la realtà era composta sì da particelle infinitesimali ma che non lasciavano alcun vuoto fra uno spazio e l'altro (i latini la chiamarono teoria del plenum).
Postulata l'esistenza di uno spazio occupato continuamente da una materia infinita, Aristotele afferma che l'ente mondano è un sinolo indivisibile di materia e forma (sýnolon, composto di sýn «con» e ólos «tutto», totalità). La materia fa da sostrato al passaggio di un ente da una forma all'altra.
E qui arriviamo all'ultimo concetto di tutta la filastrocca: l'atto e la potenza. Ogni ente ha in sé una potenza, dice Aristotele, cioè la possibilità di diventare una certa cosa, in atto. Un seme possiede in sé la pianta in potenza, la pianta rappresenta a sua volta il seme in atto.
Che la potenza si realizzi è un'ipotesi, qualcosa di accidentale, ma che vi sia la predisposizione di ogni ente a diventare una certa cosa in atto, è per Aristotele evidenza incontrovertibile, anche se è possibile osservarla solo quando si attualizza [nota: e qui può sorgere il dubbio nell'osservatore che la potenza non esista affatto, non apparendo mai concretamente se non a posteriori].
Questa era la (meta)fisica di Aristotele, e con questa si è fatto per duemila anni, altro non so.
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Grandi parole di Albert Einstein:
"Non sono arrivato a capire le leggi fondamentali dell'universo attraverso la mia mente razionale. ”
"Per quanto riguarda il caso, ci siamo sbagliati completamente. Ciò che chiamiamo materia è energia, le cui vibrazioni sono talmente basse che si nota ai sensi. La materia è ridotta alla visibilità della mente. Non importa. ”
"Il tempo e lo spazio non sono condizioni in cui viviamo, ma condizioni in cui pensiamo.
I concetti fisici sono creazioni libere della mente umana e non sono, comunque possa sembrare, determinati dal mondo esterno. "
"Il tempo non esiste - l'abbiamo inventato noi. Il tempo è quello che dice l'orologio. La differenza tra passato, presente e futuro è solo una testarda illusione. ”
"Penso 99 volte e non trovo niente. Smetto di pensare, nuoto in silenzio, e la verità mi viene in mente. "
"L'intellettuale ha poco da fare sulla via della scoperta. C'è un salto di coscienza, chiamala intuizione o come ti pare, la soluzione ti arriva e non sai come e perché. ”
"Una persona sperimenta se stessa, i suoi pensieri e sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una sorta di movimento di consapevolezza ottica. Questa illusione è per noi una sorta di prigione, che ci limita ai nostri desideri personali e all'affetto per poche persone a noi più care. Il nostro compito deve essere liberarci da questa prigione allargando il nostro cerchio di compassione per abbracciare tutti gli esseri viventi e tutta la natura nella sua bellezza. "
"La nostra separazione l'una dall'altra è un'illusione ottica. "
"Quando qualcosa vibra, tutti gli elettroni dell'universo risuonano con esso. Tutto è collegato. La più grande tragedia dell'esistenza umana è l'illusione della separazione. ”
"La realtà è solo un'illusione, anche se molto persistente. ”
"Siamo anime vestite di abiti biochimici sacri e i nostri corpi sono gli strumenti con cui le nostre anime suonano la loro musica. ”
"Come percepisci la vita di alcune delle persone più influenti che abbiano mai camminato tra noi, scoprirai un filo che le attraversa tutte. Si adattano prima con la loro natura spirituale e prima dopo con il loro io fisico. ”
"Il vero valore di una persona si trova nella misura in cui ha raggiunto la liberazione da se stesso. ”
"Gli antenati sapevano qualcosa che sembra aver dimenticato. ”
"Più imparo sulla fisica, più sono attratto dalla metafisica. ”
"Ho imparato una cosa in una lunga vita: che tutta la nostra scienza, misurata dalla realtà, è primitiva e infantile. Ancora non conosciamo il millesimo dell'uno per cento di ciò che la natura ci ha rivelato. È abbastanza possibile che dietro la percezione della nostra mente si nascondano mondi di cui non siamo a conoscenza. ”
"Non sono ateo. Il problema è troppo grande per le nostre menti limitate. Siamo nella posizione di un bambino che entra in una grande biblioteca piena di libri in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto dei libri. ”
"L'idea generale che io sia ateo si basa su un grosso errore. " Chi interpreta le mie teorie scientifiche in questo modo non le ha comprese. "
"Ogni cosa è determinata, ogni inizio e fine, da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. È determinato per l'insetto e per la stella. Persone, verdure o polvere cosmica, tutti danziamo su una melodia mistica, accordata in lontananza da un pipone invisibile. "
"La religione del futuro sarà una religione cosmica. Andrà oltre un Dio personale ed eviterà dogmi e teologia. ”
"L'energia non può essere creata o distrutta, può solo essere trasformata da una forma all'altra. ”
"Tutto è energia e questo è tutto quello che c'è. Regola la frequenza della realtà che vuoi e non puoi che riceverla. Non può essere altrimenti. Questa non è una filosofia. Questa è fisica. ”
"Sono felice perché non voglio niente da nessuno. Non mi importa dei soldi. Decorazioni, titoli o premi non significano nulla per me. Non voglio elogi. Non mi prendo il merito di niente. Un uomo felice è troppo soddisfatto del presente per preoccuparsi troppo del futuro. "
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Nel 1956 il filosofo ebreo tedesco Günther Anders, marito di Hannah Arendt, pubblicò questo brano sul condizionamento e sulla anestetizzazione delle masse che sembra gettare una luce sul presente.
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“Per soffocare in anticipo ogni rivolta, non bisogna essere violenti. I metodi del genere di Hitler sono superati. Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più alla mente degli uomini.
L’ ideale sarebbe quello di formattare gli individui fin dalla nascita limitando le loro abilità biologiche innate.
In secondo luogo, si continuerebbe il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale. Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può rivoltarsi.
Bisogna fare in modo che l’accesso al sapere diventi sempre più difficile e elitario. Il divario tra il popolo e la scienza, che l’informazione destinata al grande pubblico sia anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo.
Niente filosofia. Anche in questo caso bisogna usare la persuasione e non la violenza diretta: si diffonderanno massicciamente, attraverso la televisione, divertimenti che adulano sempre l’emotività o l’istintivo. Affronteremo gli spiriti con ciò che è futile e giocoso. È buono, in chiacchiere e musica incessante, impedire allo spirito di pensare.
Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani. Come tranquillante sociale, non c’è niente di meglio.
In generale si farà in modo di bandire la serietà dell’esistenza, di ridicolizzare tutto ciò che ha un valore elevato, di mantenere una costante apologia della leggerezza; in modo che l’euforia della pubblicità diventi lo standard della felicità umana. E il modello della libertà.
Il condizionamento produrrà così da sé tale integrazione, l’unica paura, che dovrà essere mantenuta, sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi di non poter più accedere alle condizioni necessarie alla felicità.
L’ uomo di massa, così prodotto, deve essere trattato come quello che è: un vitello, e deve essere monitorato come deve essere un gregge. Tutto ciò che permette di far addormentare la sua lucidità è un bene sociale, tutto ciò che metterebbe a repentaglio il suo risveglio deve essere ridicolizzato, soffocato, combattuto.
Ogni dottrina che mette in discussione il sistema deve prima essere designata come sovversiva e terrorista e coloro che la sostengono dovranno poi essere trattati come tali”.
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Da
Günther Anders, “L’uomo è antiquato” (Germania 1956, in Italia 1963). Un testo più volte citato e saccheggiato da Umberto Galimberti che ha anche un seguito in un secondo volume pubblicato in Germania nel 1980 e in Italia 12 anni dopo.
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“Per soffocare in anticipo ogni rivolta, non bisogna farlo in modo violento. I metodi come quelli di Hitler sono superati. Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più in mente agli uomini. L’ideale sarebbe formattare gli individui fin dalla nascita limitando le loro abilità biologiche innate. In secondo luogo, si prosegue il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale. Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può ribellarsi. L’accesso alla conoscenza deve diventare sempre più difficile ed elitario, il divario tra il popolo e la scienza deve aumentare, l’informazione destinata al grande pubblico anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo.
Soprattutto niente filosofia. Ancora una volta bisogna usare persuasione e non la violenza diretta: attraverso la televisione si diffonderanno intrattenimento lusinghiero, sempre più lusinghiero, emotivo o istintivo. Occuperemo gli spiriti con ciò che è inutile e divertente. È buono, in una chiacchierata e in una musica incessante, impedire che la mente pensi. Metteremo la sessualità in prima fila tra gli interessi umani, come tranquillante sociale non c’è niente di meglio.
Si farà in modo di bandire la serietà dell’esistenza, di girare in derisione tutto ciò che ha un valore elevato, di mantenere una costante apologia della leggerezza, in modo che l’euforia della pubblicità diventi lo standard della felicità umana e il modello della libertà. Il condizionamento produrrà così da sé una tale integrazione, che l’unica paura – che bisognerà mantenere – sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi di non poter più accedere alle condizioni necessarie per la felicità.
L’uomo di massa, così prodotto, deve essere trattato come quello che è: un vitello, e deve essere sorvegliato come deve essere un gregge. Tutto ciò che permette di addormentare la sua lucidità è socialmente buono, ciò che minaccia di svegliarlo deve essere ridicolizzato, soffocato, combattuto. Qualsiasi dottrina che metta in discussione il sistema deve prima essere designata come sovversiva e terroristica e chi la sostiene dovrà poi essere trattato come tale.”
Günther Anders, “L’obsolescenza dell’uomo”, 1956
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John Everett Millais - Londra - Tate Gallery - Ophelia - 1852
Le opere di Shakespeare, in un tempo di consolidamento della dinastia Tudor iniziato dopo la guerra delle Due Rose fra i due rami, Lancaster e York, della casa dei Plantageneti con Enrico VII e proseguito con Enrico VIII ed Elisabetta, interprete dello spirito riformista rinascimentale, e di nuove incertezze per l’umanità con la rivoluzione copernicana, sono celebri per i personaggi che affrontano i drammi dell’uomo. E’ con una messinscena teatrale che Amleto disvela l’assassinio del padre: il teatro è ricerca della verità come nel teatro classico e al contempo “Tutto il mondo è un palcoscenico” (Come vi piace). Fra i personaggi principali vi sono:
- il tiranno Riccardo III di York che conquista il potere (“Ormai l'inverno del nostro scontento s'è fatto estate radiosa ai raggi di questo sole di York e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo dell’Oceano”) per essere poi sconfitto a Bosworth Field da Enrico VII Tudor (“Il mio regno per un cavallo”);
- l’intrigante Cassio, l’incerto Bruto che antepone la libertà alle necessità della storia, l’opportunista Antonio (“E tuttavia Bruto è un uomo d’onore”), il fantasma di Cesare (“Mi rivedrai a Filippi”) in una tragedia, il Giulio Cesare, che affrontò il problema del potere in un momento in cui la regina Elisabetta poteva morire senza eredi;
- l’ebreo Shylock;
- sobillata dalla tre streghe, l’ambiziosa coppia, nella conquista del trono di Scozia, rappresentata da Lady Macbeth (“Vieni, densa notte, e ammantati del più perso fumo d’inferno, perché il mio affilato pugnale non veda la ferita che fa, e il cielo non possa affacciarsi di sotto la coltre delle tenebre per gridare “Ferma!”) e dal marito (“La vita non è che un'ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla");
- il dubbioso Amleto, principe di Danimarca, che non sa se credere al fantasma del padre (“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”) per vendicarsi dello zio che ha sposato la madre (“Fragilità, il tuo nome è donna) in un dramma poetico (“il mattino dalla sciarpa scarlatta si bagna alla rugiada dell’alta collina ad oriente”) ed esistenziale che prelude al Barocco (“Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire colpi di fionda e dardi d'oltraggiosa fortuna
o prender armi contro un mare d'affanni e, opponendosi, por loro fine?);
- la sfortunata Ofelia, innamorata di Amleto, figlia di Polonio e sorella di Laerte;
- il dispettoso folletto Puck che instilla l’amore (“Se l’ombre nostre offeso v’hanno pensate, per rimediare al danno, che qui vi abbia colto il sonno
durante la visione del racconto e questa vana e sciocca trama non sia nulla più di un sogno Signori, non ci rimproverate, rimedieremo, se ci perdonate. E, come è vero che son sincero, se solo avremo la fortuna di sfuggire ai vostri insulti, a fare ammenda riusciremo. O chiamatemi bugiardo se vi va! Quindi buonanotte a tutti voi regalatemi un applauso, amici miei E Puck a tutti i danni rimedierà”);
- gli innamorati Romeo (“Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù? È l'oriente, e Giulietta è il sole. Sorgi, vivido sole, e uccidi l'invidiosa luna”) e Giulietta (“O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome o, se non vuoi, legati solo in giuramento all'amor mio, ed io non sarò più una Capuleti” e “ Che cos’è un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo”).
- il condottiero moresco, veneziano e geloso Otello che si fa convincere dalle insinuazioni del suo alfiere Iago in merito all’adulterio di Desdemona con Cassio;
- Re Lear che diede il proprio regno a delle figlie ingrate;
- Prospero ne La Tempesta (“Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”).
Le opere di Shakespeare furono rappresentate al Globe Theatre di Londra e vanno inquadrati nella ripresa del teatro dopo le rappresentazioni sacre e i buffoni di corti medioevali: fino alla chiusura dei teatri da parte dei Puritani nel 1642, si trattò in Inghilterra di un fenomeno di massa.
L’italiano Giovanni Florio, la commedia dell’arte, i drammi dell’Ariosto e del Boiardo, la conoscenza inglese di Venezia sono fra le fonti italiane che entrano nel teatro elisabettiano e, soprattutto negli Anni Perduti (1585 - 1592), in Shakespeare.
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